Ju jitsu

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(Tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera)

Il ju-jitsu (柔術, ju-jitsu) è un’arte marziale giapponese il cui nome deriva da ju (o “jiu” secondo una traslitterazione più antica) (“flessibile”, “cedevole”, “morbido”) e jutsu (“arte”, “tecnica”, “pratica”). Veniva talvolta chiamato anche taijutsu (arti del corpo) oppure yawara (Kun’yomi di ju). Il ju-jitsu era praticato dai bushi (guerrieri), che se ne servivano per giungere all’annientamento fisico dei propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi.

Il ju-jitsu è un’arte di difesa personale che basa i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: Hey yo shin kore do, ovvero “Il morbido vince il duro”. In molte arti marziali, oltre all’equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel jujitsu, invece, la forza della quale si necessita proviene proprio dall’avversario. Più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nell’applicare una determinata tecnica proprio nell’ultimo istante dell’attacco subito, con morbidezza e cedevolezza, in modo che l’avversario non si accorga di una difesa e trovi, davanti a sé, il vuoto.

Storia

Il jujitsu è un’antica forma di combattimento di origine giapponese di cui si hanno notizie certe solamente a partire dal XVI secolo quando la scuola Takenouchi (竹内流) produsse una codificazione dei propri metodi di combattimento. Ma certo l’origine del jujutsu è molto più antica e la definizione, durante tutto il periodo feudale fino all’editto imperiale del 1876 che proibì il porto delle spade decretando così la scomparsa dei samurai, si attribuiva alle forme di combattimento a mani nude o con armi (armi tradizionali, cioè spada, lancia, bastone, etc.) contro un avversario armato o meno, praticate in una moltitudine di scuole dette Ryu, ognuna con la propria specialità . Bastone, Sai e Nunchaku diventano armi, ma nascendo da semplici attrezzi da lavoro. Il bastone infatti serviva a caricare i secchi, i Sai servivano per la brace, mentre il Nunchaku era un semplice strumento usato per battere il riso. Le armi erano inaccessibili ai civili, e quest’ultimi adattarono nell’uso i pochi strumenti che avevano a disposizione, usandoli appunto per difendersi.

Si distinguevano perciò le scuole dedite all’uso del tachi, la spada tradizionale giapponese, quelle maggiormente orientate alla lotta corpo a corpo, fino alle scuole di nuoto con l’armatura, tiro con l’arco ed equitazione. Quest’ultime costituivano la base dell’addestramento del samurai, espressa dal motto Kyuba No Michi, la via (michi) dell’arco (kyu) e del cavallo (ba), che più tardi muterà nome in bushido. Una caratteristica che accomunava tutte queste scuole era l’assoluta segretezza dei propri metodi e la continua rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre.

In un paese come il Giappone, la cui storia fu un susseguirsi di continue guerre tra feudatari, il ruolo del guerriero rivestì una particolare importanza nella cultura popolare, e con esso il ju-jitsu. La difesa del territorio, la disputa di una contesa, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che ne hanno permesso lo sviluppo tecnico, dettato dalla necessità di sopravvivenza.

Con l’instaurarsi dello shogunato Tokugawa (1603-1867), il Giappone conobbe un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del ju-jitsu, poiché, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, fu possibile per i vari Ryu organizzarsi e classificare i propri metodi. Anche la gente comune comincia a interessarsi e a praticare il ju-jitsu poiché la pratica portava un arricchimento interiore dell’individuo, data la relazione intercorrente con i riti di meditazione propri del buddismo zen. Ma la cultura guerriera era talmente radicata nella vita dei Giapponesi da spingere i samurai a combattere anche quando non ve n’era l’effettiva necessità . Ciò portava a volte all’organizzazione di vere e proprie sfide chiamate Dōjō Arashi (tempesta sul dōjō), in cui i migliori guerrieri si confrontavano in modo spesso cruento.

La caduta dell’ultimo shōgun e il conseguente restauro del potere imperiale causarono grandi sconvolgimenti nella vita del popolo: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, ora si volgevano avidamente verso la cultura occidentale che li stava “invadendo”. Ciò provocò un rigetto da parte del popolo per tutto ciò che apparteneva al passato ivi compreso il ju-jitsu. La diffusione delle armi da fuoco fece il resto: il declino del ju-jitsu era in atto.

Il nuovo corso vide la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato il Giappone per quasi mille anni e il jujitsu da nobile che era scomparve insieme ad essi; i numerosi dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi ed i pochi rimasti erano frequentati da gente dedita a combattere per denaro, persone rozze e spesso coinvolte in crimini. Questo aspetto in particolare influenzò negativamente il giudizio del popolo nei confronti del ju-jitsu poiché vedeva in esso uno strumento di sopraffazione e violenza.

Durante il periodo storico chiamato Restaurazione Meiji, si affermò grandemente in giappone il nuovo jujutsu ideato da Jigoro Kano con il nome di Judō kodokan, che si proponeva come metodo educativo, insegnato nelle scuole come educazione fisica ed inserito nei programmi di addestramento della polizia giapponese. Si deve infatti ricordare come durante l’era Meiji, il Giappone formò forze armate statali al servizio dell’Imperatore basate sul modello occidentale, ma con caratteristiche autoctone. Nel secondo dopoguerra però, a causa della proibizione generale del generale MacArthur rispetto alla pratica delle arti marziali tradizionali prima, e poi dell’evoluzione sportiva subita dal Judō quando poté essere di nuovo praticato (a partire dal 1950), si riaffermò il Jujutsu come tecnica di difesa personale, accanto all’Aikido di Morihei Ueshiba.

Il ju-jitsu si diffuse nel resto del mondo grazie a quanti, viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) a partire dall’era Meiji, lo appresero reimportandolo nel paese d’origine.

Oggi è praticato in numerosi paesi del mondo, con organizzazioni anche di carattere internazionale. In Italia la FIJLKAM Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, possiede al suo interno un settore dedicato, sebbene esistano organizzazioni di carattere privato o promozionale (AICS, ACSI, UISP, AIJJ, ecc.) in cui il ju-jitsu è ben sviluppato. Particolare rilievo assume l’Associazione Italiana Ju-Jitsu e Discipline Affini (AIJJ & DA), in quanto unica federazione sportiva italiana di Ju-Jitsu, internazionalmente riconosciuta dalla federazione sportiva JJIF (Ju-Jitsu International Federation), a sua volta riconosciuta dal GAISF (General Association of International Sports Federations) [1] e dal IWGA (International World Games Association).

Nel mondo esistono molte Scuole e Federazioni che praticano Ju Jitsu; proprio per questo il governo giapponese ha da tempo istituito un Ente, il Dai Nippon Butokukai (Sala delle virtù marziali del grande Giappone), con la funzione di salvaguardare le arti marziali Tradizionali Giapponesi dal “possibile attacco sferrato dalla modernità e dall’avidità umana”. Questo Ente certifica l’effettivo collegamento tra il passato e il presente di una Scuola tradizionale, conservandone documenti e quant’altro risulti utile a certificarne l’autenticità .

La leggenda del salice

Esisteva un tempo, molti secoli fa, un medico di nome Shirobei Akiyama. Egli aveva studiato le tecniche di combattimento del suo tempo, comprese altre tecniche che imparò durante i suoi viaggi in Cina compiuti per studiare la medicina tradizionale e i metodi di rianimazione, senza però ottenere il risultato sperato. Contrariato dal suo insuccesso, per cento giorni si ritirò in meditazione nel tempio di Daifazu a pregare il dio Tayunin affinché potesse migliorare.

Accadde che un giorno, durante un’abbondante nevicata, osservò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti che erano così rimasti spogli. Lo sguardo gli si posò allora su un albero che era rimasto intatto: era un salice, dai rami flessibili. Ogni volta che la neve minacciava di spezzarli, questi si flettevano lasciandola cadere riprendendo subito la primitiva posizione.

Questo fatto impressionò molto il bravo medico, che intuendo l’importanza del principio della non resistenza lo applicò alle tecniche che stava studiando dando così origine ad una delle scuole più antiche di JuJutsu tradizionale, la Scuola Hontai Yoshin Ryu (scuola dello spirito del salice), tuttora esistente e che da 400 anni si tramanda tecniche di combattimento a mani nude e con armi in maniera quasi del tutto invariata.

Il 19° Soke (caposcuola) è Kyoichi Inoue Munenori, e alcuni dei Kata (forme) di questa Scuola sono gli unici ad essere inseriti nel programma federale della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali). La Hontai Yoshin Ryu, inoltre, è riconosciuta dal Nihon Budokan (Nippon Budokan) che riconosce solo pochissime scuole con una discendenza documentata.

Gino Bianchi ed il ju-jitsu in Italia

La prima fugace apparizione del ju-jitsu in Italia si deve a Pizzarola e Moscardelli, marinai della Regia Marina, che nel 1908 ne diedero una dimostrazione al Re; ma Gino Bianchi (un marinaio), dopo quaranta anni, portò il ju-jitsu in Italia.

Il Maestro Bianchi, già campione militare di savate, era impegnato durante la Seconda guerra mondiale col contingente italiano nella colonia giapponese di Tien Sing (Tianjin) in Cina dove venne a contatto col ju-jitsu e, rimanendone colpito per l’efficacia, decise di diffonderlo una volta tornato in Italia.

L’opera di diffusione iniziò a Genova, nella palestra di via Ogerio Pane, dove il Maestro Bianchi insegnava gratuitamente a cinque o sei allievi nel difficile clima di ristrettezze del secondo dopoguerra; con la fine degli anni quaranta la palestra si trasferì nella sede storica di Salita Famagosta e l’opera di diffusione del ju-jitsu “stile Bianchi” procedette a pieno ritmo anche grazie alle varie dimostrazioni pubbliche svolte col gruppo dei Kaze Hito (uomini vento). Dopo la scomparsa del Maestro, il “metodo Bianchi” è stato razionalizzato nel 1974 dal M° Giuseppe Dioguardi e dal M° Angelo Briano che, con il supporto dei maestri Devoto, Comotto e Mazzaferro, nel 1974 organizzarono le tecniche praticate in 5 gruppi di 20 tecniche. I 5 gruppi presero i nomi delle prime cinque lettere dell’alfabeto e vennero chiamati Settori. Questa serie di tecniche venne inizialmente diffusa in forma di ciclostilati distribuiti dagli autori. L’anno successivo, il M° Rinaldo Orlandi dette maggior visibilità all’opera di razionalizzazione dei Settori pubblicando il libro “Il Ju Jitsu Moderno” con la casa editrice Edizioni Mediterranee. Il settore A raggruppa tecniche che provocano sbilanciamento dell’avversario (atterramento) e un eventuale controllo al suolo. Il settore B raggruppa tecniche dove è predominante la proiezione dell’avversario. Il settore C raggruppa tecniche che mirano allo studio degli effetti di compressione e torsione articolare (cosiddette leve articolari). Il settore D raggruppa tecniche che mirano alla resa o allo sbilanciamento dell’avversario agendo sul suo collo (strangolamenti e torsioni). Il settore E raggruppa tecniche che sono la somma e il sunto dei precedenti gruppi.

Negli anni cinquanta nasce l’O.L.D.J. che raggiungerà in breve tempo 5000 soci tesserati a molti dei quali si deve il proseguimento dell’opera del Maestro Bianchi dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1964. In onore del maestro Bianchi, ogni anno si svolge una gara: il trofeo Gino Bianchi; al quale partecipano tutte le palestre italiane.

World Ju-Jitsu Federation

La WJJF è una federazione di Jujitsu internazionale presente anche in Italia. In deroga al contratto di rappresentanza, in Italia la WJJF internazionale svolge attività attraverso il suo presidente internazionale, Spartaco Bertoletti.

Cinture del Ju-Jitsu

I gradi (kyu) nel Ju-Jitsu sono:

6° kyu bianca;

5° kyu gialla;

4° kyu arancione;

3° kyu verde;

2° kyu blu;

1° kyu marrone;

I gradi (dan) nel Ju-Jitsu sono:

Shodan – 1° Dan nera;

Nidan – 2° Dan nera con due tacche;

Sandan – 3° Dan nera con tre tacche o bianca e blu;

Yondan – 4° Dan nera con quattro tacche o bianca e blu;

Godan – 5° Dan nera con cinque tacche o bianca e blu;

Rokudan – 6° Dan bianca e rossa;

Shichidan – 7° Dan nera e rossa;

Hachidan – 8° Dan rossa;

Kudan – 9° Dan rossa;

Judan – 10° Dan rossa.

Oltre il 5° Dan si passa per merito.

Il fondatore della WJJKO, Soke Robert Clark, era 9° Dan.

ju-jitsu agonistico

Il Jujitsu sportivo prevede due tipi di specialità di gara: il fighting system (combattimento uno contro uno) e il duo system (simulazione di difesa a coppie).

Il Fighting System

Il Fighting System è un tipo di competizione agonistica del Ju Jitsu. Nel 1977, a seguito di un’iniziativa comune fra Italia, Germania e Svezia, venne fondata la European Ju-Jitsu Federation (EJJF). Nel 1987, quando oramai tutte le principali Nazioni europee facevano parte della EJJF, venne fondata, con un grande contributo del Ju-Jitsu italiano, la Ju-jitsu International Federation (JJIF). Da allora la AIJJ -Associazione Italiana Ju-Jitsu- fu riconosciuta anche dalla JJIF quale unica rappresentante del Ju-Jitsu in Italia. Una delle tipologie di competizione riconosciute da questa federazione è il Fighting System. Questo sport vanta la partecipazione di 52 nazioni nel Mondo e prevede l’organizzazione di Mondiali, nonché di vari titoli Continentali con cadenza Biennale.

Il Fighting System è un combattimento che si svolge sul Tatami tra due atleti che indossano solamente il judogi, protezioni paratibia e, per facilitare tutte le fasi del combattimento, protezioni alle mani sottili ed aperte, in modo da effettuare al meglio le prese sia nella lotta in piedi che in quella a terra. All’inizio del combattimento, gli atleti si affrontano con atemi (colpi a distanza di calcio o pugno) in quella che viene definita Prima Fase, sino a quando uno dei due atleti effettua una presa sul judogi dell’avversario passando alla Seconda Fase. Una volta che un atleta sceglie e riesce ad afferrare il suo avversario è vietato sferrare alcun colpo, fin tanto che persiste una qualsiasi presa. Nella Seconda Fase l’obiettivo di ciascun atleta diventa effettuare una proiezione dell’avversario utilizzando tecniche opportune (Nage-Waza). Una volta che uno dei due contendenti ha effettuato una proiezione dell’avversario o entrambi finiscono a terra, il combattimento continua nella Terza Fase in cui l’obiettivo è immobilizzare l’avversario al suolo (osae-komi) o costringerlo alla resa tramite leve articolari (kansezu-waza) o strangolamento (shime-waza).

Ogni azione è valutata da ben tre arbitri, che giudicano ed assegnano 2 punti (Ippon) o 1 punto (Wazari) a seconda dell’esecuzione delle tecniche, del risultato e della reazione dell’avversario. I punti assegnati durante il combattimento vengono sommati al termine dell’incontro per designare il vincitore.

Il combattimento dura 3 minuti e viene interrotto solo se necessario: ciò permette a questo sport di mantenere un ritmo altissimo durante i combattimenti, conferendogli grande spettacolarità e obbligando gli atleti ad avere un’approfondita preparazione non solo tecnica, ma anche atletica.

La vittoria viene assegnata all’atleta che ha conseguito il miglior punteggio allo scadere del tempo oppure per superiorità tecnica di uno dei due atleti, ovvero colui che riesca ad ottenere almeno un Ippon sia in Prima che in Seconda che in Terza Fase, infliggendo all’avversario una tecnica perfetta sia nel combattimento a distanza, sia in quello corpo a corpo e sia in quello a terra. In questa circostanza l’atleta avrà dimostrato di essere superiore tecnicamente al proprio avversario in ogni situazione, obbiettivo massimo del jujitsu: pertanto avrà vinto prima del termine. Questa regola anima particolarmente le sfide, conferendo a questo sport ancora maggior studio della tattica di gara.

Nel combattimento a distanza gli atleti sono vincolati a rispettare un controllo dei colpi. Questa regola permette agli atleti di esprimere al meglio le loro capacità tecniche nella lotta, senza contaminarla con colpi che andrebbero a limitare l’aspetto tecnico di questa fase. Nelle altre fasi è vietato l’uso dei colpi e gli atleti devono utilizzare tutta la loro arte di lottatori per sottomettere l’avversario.

Il Duo System

Il Duo System è una specialità del jujitsu in cui una coppia (maschile, femminile o mista) simula una difesa da attacchi codificati in tutto il mondo. Le serie sono così suddivise:

Serie A: prese
Serie B: avvolgimenti
Serie C: calci e pugni
Serie D: armi (coltello e bastone).
La gara è un confronto tra 2 coppie valutato da una giuria di 5 arbitri di sedia che, in base ad attitudine, efficacia, velocità , controllo, potenza, realismo e varietà assegnano un punteggio da 1 a 10. L’arbitro centrale (il mat referee) ha la funzione di chiamare 3 dei 5 attacchi agli atleti e di indicare alla giuria eventuali errori nell’esecuzione dell’attacco commessi dalla coppia.

Svolgimento della gara
Per distunguere le 2 coppie viene fatta indossare ad una la cintura rossa e all’altra la cintura blu. Il rosso inizia per primo ed esegue 3 delle 5 tecniche della serie A sorteggiati dall’arbitro centrale. Terminata l’esecuzione la giuria dà la valutazione in base ai criteri di sopra elencati. Il rosso scende ora dal tatami e blu esegue la difesa. I tre attacchi sono gli stessi chiamati al rosso ma in ordine diverso, per cui blu ha un lieve vantaggio conoscendo i tre attacchi chiamati. Per equità blu comincia la serie B così che rosso conoscerà i tre attacchi. Le coppie si alterneranno così fino in ultima serie come segue:

Serie A: Rosso
Serie A: Blu
Serie B: Blu
Serie B: Rosso
Serie C: Rosso
Serie C: Blu
Serie D: Blu
Serie D: Rosso
Vince l’incontro chi nella somma totale ha ottenuto il punteggio più alto. L’Italia è una delle nazionali più forti nella specialità del Duo System.
Riportiamo di seguito i risultati ottenuti dagli azzurri dal 1994 (anno di nascita di questa specialità ).